IN COLLABORAZIONE CON:

CON IL PATROCINIO DEL COMUNE DI VICENZA

CORSO FOGAZZARO

GIANGIORGIO TRISSINO

Se alziamo la testa in Corso Fogazzaro, all’altezza della Galleria del Pozzo Rosso, è ben visibile la lapide posta sul luogo dove sorgeva il palazzo natale di Giangiorgio Trissino, meglio noto per la villa fuori porta, quella di Cricoli che lui stesso ha progettato. Trissino è una grande figura di umanista, uomo dal multiforme ingegno: poeta, drammaturgo, architetto, amico dei principali letterati del tempo, da Bembo ad Ariosto a Machiavelli. Ed è frequentando l’ambiente fiorentino che si innamora di Dante, della sua poesia e delle riflessioni politiche e linguistiche.
Nei primi decenni del 1500 nelle corti e nelle città italiane si accende un forte dibattito sulla lingua. Ormai il fiorentino, per la grandezza di Dante, Petrarca e Boccaccio è già diventato la lingua letteraria. Ma… quale fiorentino? Quello elegante di Petrarca, quello parlato di Machiavelli, quello aperto alle migliori voci di altri dialetti di Dante? Il vicentino Giangiorgio Trissino nei suoi scritti sostiene la tesi di Dante, proponendola come modello linguistico insuperabile a cui guardare.

“Questa cotale discussione di lingue mi pare essere stata fatta da Dante con grandissimo giudizio, perciochè, sì come i Greci da le loro quatro lingue, cioè da la attica, da la ionica, da la dorica e la eolica, formarono un’altra lingua che si dimanda lingua comune, così anchora noi da la lingua toscana, da la romana, da la siciliana, da la veneziana e da l’altre de l’Italia ne formarono una comune, la quale si dimanda lingua italiana. Adunque le sopradette ragioni basteranno a la soluzione del dubbio, cioè che la lingua ne la quale hanno scritto Dante e il Petrarca e Cino e Guido si dee nominare italiana e non toscana e questa dico essere quella lingua la quale noi parimenti dovemo elegere a li nostri poemi”.

dalla “Poetica”

La lapide che ricorda il luogo dove sorgeva la dimora della famiglia Trissino

Proprio a Gian Giorgio Trissino si deve la prima versione in lingua italiana del De vulgari eloquentia, pubblicata a Vicenza nel 1529. Egli studia e commenta ampiamente il trattato dantesco, lasciando molte note di lettura su uno dei più importanti manoscritti dell’opera. L’edizione ferrarese del 1583 contiene sia la traduzione della De vulgari eloquentia sia l’opera, in forma dialogica, del Trissino Il Castellano), dove l’autore espone le sue teoria linguistiche, fondandole sul trattato dantesco.

 

“Questo è il nostro vero, e primo parlare; non dico ‘nostro’, perché altro parlare ci sia, che quello de l’homo; perciò, che fra tutte le cose, che sono, solamente a l’homo, fu dato il parlare, sendo a lui necessario solo; certo non a gli angeli, non a gli animali inferiori fu necessario parlare; adunque sarebbe stato dato in vano a costoro, non havendo bisogno di esso. E la natura certamente aborrisce di fare cosa alcuna in vano”.

Trad. del “De vulgari eloquentia”, libro I, cap.2

Il busto di Giangiorgio Trissino ai Giardini Salvi (opera di Giuseppe Zanetti)

Il furto del Palladio ( pittura vascolare greco-italica)

Ma c’è un altro dettaglio che dovrebbe emozionare noi vicentini e lo scopriamo nel canto XXVI, il canto di Ulisse, al verso 63. E’ Virgilio che sta parlando a Dante proprio di Ulisse e della pena che condivide con il compagno di inganni Diomede, anche per aver trafugato proditoriamente da Troia il simulacro della dea Atena, capace di difendere la città da ogni distruzione

“Là dentro si martira

Ulisse e Diomede, e così insieme

a la vendetta vanno come a l’ira.

………………………………………

Piangevisi  entro l’arte per che, morta,

Deidamìa ancor si duol d’Achille,

e del Palladio pena vi si porta”       

Inf. 26^, vv. 55 – 57 e 61 – 63

 

Siamo colpiti da una  parola, “sacra” per i vicentini:  Palladio, il nome con cui è noto Andrea della Gondola, l’alunno prediletto, di cui Trissino scopre il genio e che  introduce allo studio dei classici. Nel suo poema “ L’Italia liberata dai Goti” l’umanista vicentino  aveva chiamato “ Palladio”l’angelo vendicatore che difende l’Italia dai barbari, i Goti. Un lungo percorso che, dal mito antico ripreso da Dante e rinato negli endecasillabi trissiniani,  diventerà universale nel nome del grande architetto di Vicenza.           

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